A cosa serve la psicoterapia? Il modello cognitivo costruttivista

Una psicoterapia può aiutarci a comprendere, ad accettare e a risolvere dinamiche che non siamo in grado di gestire, insegnandoci ad illuminare il mondo che ci circonda, di nuovi colori.

8 DIC 2016 · Ultima modifica: 9 DIC 2016 · Tempo di lettura: min.
A cosa serve la psicoterapia? Il modello cognitivo costruttivista

Spesso mi viene chiesto che cos'è e come funziona una psicoterapia. Dal momento che esistono svariati modelli, ognuno estremamente diverso dall'altro, risponderò a questa domanda riferendomi esclusivamente al modello da me utilizzato, quello cognitivo costruttivista.

La terapia cognitivo costruttivista non mira esclusivamente ad eliminare il sintomo portato dal paziente, ma si propone di promuovere un cambiamento complessivo nella persona, aiutandola a trovare un nuovo stato di equilibrio.

Il sintomo non viene considerato come il "bersaglio" diretto del lavoro terapeutico poiché, occuparsi esclusivamente dell'eliminazione dei sintomi (senza comprendere perché esistano, che funzione abbiano, ecc.), non garantisce che questi non si ripresentino in futuro, o che non si spostino su una nuova forma di sintomatologia. Per fare un esempio: limitarsi ad eliminare la dipendenza da alcool, non garantisce che in futuro il soggetto non ricada nella dipendenza, o che non sposti la propria dipendenza su altre sostanze.

Eliminare un sintomo senza comprendere la cornice all'interno della quale si è sviluppato, senza dargli un significato, senza comprenderne la funzione, equivale a togliere la frutta marcia da un'albero senza prendersi cura della pianta.

La sintomatologia, nonostante comporti dolore e sofferenza per il paziente, in ottica cognitivo costruttivista viene vista come il modo migliore che una persona è riuscita a trovare per mantenere il proprio equilibrio interiore, per muoversi nel mondo, e per controllare gli eventi che si possono presentare.

In quest'ottica il disturbo portato dal paziente non è visto come una malattia, ma solo come il modo "migliore" che l'individuo ha trovato per sopravvivere nel mondo, una sorta di strategia di sopravvivenza che per qualche motivo non funziona più. Non esiste dunque il giusto e lo sbagliato, il vero o il falso, e di conseguenza il terapeuta non può imporsi al paziente fornendogli a priori una visione alternativa del mondo migliore della sua.

Questo concetto è descritto molto bene dalla metafora proposta da Kelly (1955) dell'uomo come scienziato. In questa metafora la terapia è vista come una ricerca scientifica a cui collaborano paziente e terapeuta. Nonostante l'obiettivo sia lo stesso (il cambiamento e il benessere del paziente), i due ricoprono due ruoli ben distinti:

  • il paziente è l'esperto rispetto alla ricerca che stanno eseguendo (poiché è l'unico a conoscere la propria storia di vita, le proprie esperienze, ciò che ha dentro);
  • il terapeuta è l'esperto rispetto al metodo utilizzato (il suo compito è pertanto quello di suggerire gli strumenti, le procedure e i tempi per portare avanti l'intero processo).

L'obiettivo del terapeuta diventa quindi, in primo luogo, quello di comprendere il paziente nella sua interezza (passato e presente, come le esperienze del passato influenzano il modo in cui il soggetto vive e da significato al presente). A questo fine la terapia viene condotta utilizzando:

  • tecniche conversazionali (strutturando la conversazione in base agli obiettivi momentanei della seduta in corso);
  • procedure esperienziali (tecniche di rilassamento, sogni guidati);
  • tecniche immaginative (volte a favorire una presa di contatto del paziente con la propria esperienza corporea e con le proprie emozioni).

Infine una particolare importanza è ricoperta dalla relazione terapeutica, considerata come il principale strumento di cambiamento.

Il terapeuta infatti, in quanto persona alla quale il paziente si rivolge in un momento di particolare difficoltà della sua vita, può rappresentare un'importante figura di attaccamento rispetto alla quale il paziente tenderà a riproporre e rivivere lo stile e le dinamiche delle relazioni con le sue figure di attaccamento (genitori, nonni, persone importanti che hanno segnato la vita del paziente).

Il setting terapeutico può divenire così, per il paziente, il "luogo" nel quale è possibile rivivere e fare nuove esperienze relazionali che permettano di rivedere e ricontestualizzare elementi del proprio passato, integrandoli nella propria immagine di sé nel presente e in un possibile futuro.

A questo punto vorrei aggiungere: perché iniziare una terapia?

Richiedere aiuto ad uno psicoterapeuta, può servire a risolvere un periodo di crisi e sofferenza di cui la persona non riesce a liberarsi. A volte può essere difficile chiedere aiuto: si può arrivare a pensare di dover risolvere da soli i propri problemi, che chiedere l'intervento di altri rappresenti una forma di debolezza, che prima o poi il dolore passerà e le cose torneranno a posto da sole.

Ma cosa succede se la tristezza, il dolore, la sofferenza, non passano?Cosa succede se gli eventi continuano ad accavallarsi, a prendere il sopravvento, portandoci in una spirale negativa da cui sembra impossibile uscire? Cosa succede se alcune dinamiche si fanno ricorrenti, e ci si ritrova ogni volta all'interno delle stesse problematiche che ci spingono ad abbandonare ogni certezza, ogni sicurezza, vittime di un dolore da cui sembra non esserci via d'uscita?

Cominciare un percorso psicoterapeutico può aiutare, a comprendere, ad accettare, a risolvere, a superare dinamiche che un individuo da solo non è in grado di gestire.

A volte è sufficiente essere accompagnati a guardare il mondo da un altro punto di vista, illuminandolo con una luce nuova, in modo da scoprire nuovi confini e nuovi colori in quelle zone che, per troppo tempo, abbiamo deciso di lasciare al buio.

Richiedere una psicoterapia può servire a questo: ad illuminare il mondo che ci circonda, di nuovi colori.

A cosa serve la psicoterapia? Il modello cognitivo costruttivista

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Scritto da

Dott. Jacopo Campidori

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