Può un terapeuta spingere un paziente ad allontanare ogni causa di dolore?
Buonasera,
da qualche mese una persona a cui voglio bene sta passando un momento molto buio a seguito della fine della sua relazione con la partner.
Dice di essere in depressione e di essere in cura per questo.
È diventato molto difficile parlarci liberamente perché a volte le parole vengono fraintese in senso negativo e riferimenti a quella persona provocano una diretta reazione aggressiva che finora sono riuscita a gestire.
Ci sento molto rancore, dolore e rabbia verso l’abbandono subito e lo sfruttamento che pare ci sia stato da parte sua.
Cerco di essere più accorta possibile ma di recente nel parlare insieme di un altro argomento senza intenzione o meglio senza pensare ciò che ne sarebbe scaturito ho detto una cosa che suonata come una frecciata ha risvegliato un ricordo di questa situazione che crea dolore. Ho più volte cercato di scusarmi spiegando anche cosa intendevo e facendo capire che non c’era cattiveria nelle mie parole che avrei dovuto scegliere meglio ma non è bastato. Ha deciso di allontanarsi e non farsi più sentire. Non è servito far capire il bene che provo e nonostante in questi mesi gli sia stata accanto a dispetto di trascorsi non proprio rosei che abbiamo avuto in passato, cosa di cui mi ha anche ringraziato a volte in questo periodo.
Sto rispettando la sua volontà ma non posso lasciare che l’idea che si è costruito di me sia di una persona che gratuitamente lo ha voluto colpire sul suo punto debole come mi ha fatto notare.
L’ho ricontattato per far capire nuovamente che non ho motivo di fargli del male e a quel punto mi ha detto che gli è stato detto di allontanarsi e interrompere contatti con chi genera questo tipo di malessere o chi fa riferimenti a ciò che gli provoca dolore, amici compresi.
Non mi intendo di psicologia, ma può un terapeuta suggerire al suo paziente di allontanare amici e persone che hanno dimostrato di averlo a cuore solo perché hanno citato o si sono riferite alla situazione che in lui genera sofferenza? Non dovrebbe la terapia accompagnare nell’accettazione del dolore e nel suo corretto inquadramento e gestione anziché consigliare la chiusura totale a fonti di possibile sofferenza specie se dettate da un’errata o esagerata interpretazione?