Non so come comportarmi e che ruolo ho nell'emancipazione di mio marito.
Buongiorno, ho visto che il problema di fondo è condiviso da molte donne nella mia stessa posizione, ma ritengo che la mia situazione sia parzialmente diversa. Mia suocera non adotta nessun atteggiamento negativo esplicito nei miei confronti (anzi apparentemente mi elogia con tutti), salvo alcuni episodi, che ritengo di aver risolto. Il punto è che, da quando è rimasta vedova, mia suocera ha maturato un carattere che definirei egocentrico e narcisistico, con un bisogno costante di attenzioni, soprattutto da suo figlio che oggi è mio marito. Facendo un piccolo passo indietro, il papà di mio marito è mancato quando lui era adolescente (oggi ha 34 anni) ed era un uomo molto presente ed affettuoso. Mia suocera, a detta dei racconti di mio marito, non ha mai presentato un carattere particolarmente eccentrico durante il matrimonio, ma le cose sono cambiate da quando il marito è venuto meno. Ha iniziato a pretendere contatti quotidiani e telefonici con il figlio, al quale, allo stesso tempo, raccontava tutto ciò che le accadeva nella vita, ritenendolo un confidente, anche rispetto alle sue relazioni successive con altri uomini. Ciò si è manifestato anche durante la nostra vita di coppia: ad esempio, lei richiede costanti aggiornamenti sui nostri spostamenti quando siamo in vacanza (nel senso di foto ed impressioni per condividere con lei l'esperienza, ma come ovvio, quando sono in vacanza con mio marito vorrei starci solo con lui e non con una terza persona).
Da quando ci siamo sposati, ho chiesto che tali contatti cessassero o, quanto meno, venissero ridotti, temendo che l'opinione costantemente presente di una terza persona potesse minare alla libertà di determinazione della nostra coppia e nuova famiglia.
Diciamo che i comportamenti più pesanti di mia suocera si sostanziano nei tratti tipici del narcisimo: dall'insistenza manipolativa per ottenere risultati apparentemente futili, ma che sommati fra loro diventano pesanti nella libertà di coppia, al bisogno costante di sentirsi apprezzata, al centro dell'attenzione e dotata di potere decisionale sulla vita di mio marito e, di riflesso, anche sulla mia.
Io e mio marito abbiamo discusso in più occasioni di tale situazione e lui stesso riconosce i comportamenti inadeguati ed inopportuni di sua madre.
Senonché, ogni volta che mio marito tenta di ridurre la presenza della madre nella sua vita, si sente in colpa di averla come abbandonata. Insomma, mi pare che, da un lato, gli pesi la presenza incombente e possessiva della madre nella vita, dall'altro, si senta responsabile della stabilità emotiva della madre. Così, però, mi pare che non faccia nessun passo avanti, perché, per ogni presa di posizione, c'è anche un comportamento di rimorso.
In tutto questo non riesco a focalizzare il mio ruolo.
E' evidente che ho tutto l'interesse all'emancipazione di mio marito, anche in vista di un fututo allargamento della famiglia: vorrei avere al mio fianco una persona adulta ed autonoma con cui crescere i figli, secondo le nostre regole di coppia e non secondo canoni determinati dall'esterno.
D'altro canto non so come aiutarlo per non sentirsi in colpa, più che rassicurarlo del fatto che si trova nel giusto e che sua mamma non presenta evidenti problemi di salute o anche solo di solitudine.
Vorrei che si liberasse, ma non vorrei per altro verso essere invadente, rischiando di fare esattamente quello che fa sua madre. Non nascondo che, dentro di me, ogni tanto mi da fastidio che si mostri così preoccupato di ferire i sentimenti di sua mamma, perché ne ricavo, forse sbagliando, una sua dipendenza, che mi preoccupa per la nostra relazione presente e futura.