Non capisco cosa non vada in me, vivere è diventato un incubo

Inviata da Chelinka · 16 giu 2020 Autorealizzazione e orientamento personale

Buonasera, scrivo qui perché sono al limite. Sono in terapia da un po' di tempo oramai e talvolta assumo antidepressivi e ansiolitici su prescrizione. Mi è stato detto che non ho un disturbo particolare, eppure c'è qualcosa che da più di due anni dentro di me si è rotto e non riesco più a rimettere insieme i pezzi. Non sono serena da tanto tempo. Ho alternato momenti di euforia in cui ho fatto cose pericolose ma anche tante esperienze di tipo diverso (talvolta positive), a momenti di depressione in cui non riesco ad interessarmi a niente. Adesso, grazie al lockdown, i miei atteggiamenti autolesivi si sono calmati di molto, ma sono in mezzo a questa depressione nera che non vuole lasciarmi. Faccio fatica ad alzarmi dal letto, se penso che l'indomani mi sveglierò e dovrò affrontare un'altra giornata così, preferirei morire, e se non mi sono ancora tolta la vita è solo perché l'unica cosa per cui non ho ancora perso del tutto interesse è la mia famiglia. So che distruggerei le loro vite, se facessi una cosa del genere. Ho cambiato psicologo più di una volta, inizialmente sembra andare tutto bene, o comunque meglio, ma poi torno sempre al punto di partenza. Non capisco perché tentare e ritentare se alla fine devo continuare a sentire questo peso terribile dentro che mi schiaccia e mi soffoca. Sto perdendo la poca speranza che mi era rimasta e penso sempre più spesso alla morte. Credo di non essere adatta a vivere, semplicemente, magari non tutti lo siamo. Altrimenti almeno una terapia avrebbe dovuto funzionare. Non riesco ad appassionarmi di nulla anche se ci provo, mi sforzo di intraprendere nuove attività ma non riesco ad entusiasmarmi e rimangono in sospeso praticamente tutte. Non mi interessa nemmeno più il mio corso di studi, che fino ad ora mi ha dato un po' di forza di andare avanti. Cosa mi resta? Niente, sono un essere umano inutile che spreca ossigeno e non contribuirà mai in alcun modo a rendere il mondo un posto migliore, nemmeno in piccola parte. Non ne ho la forza, non ho la forza di fare nulla. La mia vita non ha un senso e se potessi regalerei gli anni che mi rimangono a chi invece li vorrebbe vivere. Non so per quanto ancora riuscirò ad andare avanti, mi fa davvero male pensare all'eventuale sofferenza dei miei cari, ma io non sto vivendo più, mi sento una morta in vita, un'ombra senza scopo, e non sopporto più questo male che mi ha distrutto la vita.

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Miglior risposta 17 GIU 2020

Chelinka, è difficile dirle qualcosa di utile in uno spazio limitato come questo. E’ difficile anche avere un quadro completo. Dal suo racconto verrebbe da dedurne un possibile disturbo bipolare. Prenda questa ipotesi con le molle. L’etichetta diagnostica in sé non sarebbe così importante. Mi chiedo però che significato abbia per lei non poter dare almeno un nome a tutta questa sofferenza, fosse anche solo un’etichetta. Forse pensare questa sofferenza come qualcosa che "non è un disturbo in particolare”, che non merita neanche un nome, potrebbe essere faticoso da accettare quasi che rendesse più insensato tutto il suo dolore che senso già non deve sembrarle che possa averne.
Non posso naturalmente entrare nel merito delle sue passate esperienze terapeutiche. Penso però che lei non deve arrendersi e semmai affiancare al lavoro con il collega quello da intraprendere con uno psichiatra affinché la sostenga farmacologicamente. Chi le ha prescritto ansiolitici e antidepressivi? Il suo medico di base o uno psichiatra? Le terapie farmacologiche sono varie e se è seguita da uno psichiatra gli parli del fatto che non sembrano funzionare affinché eventualmente possano essere apportati i necessari correttivi. E’ impossibile lavorare psicologicamente sul significato di quanto le accade in uno stato di così profonda sofferenza. Stabilizzare il suo umore le permetterebbe di dedicare energie alla ricerca delle origini di questo dolore. Non è un lavoro facile né breve, ma in un condizione di estremo patimento diventa un lavoro immane. Trovare la giusta terapia farmacologica sarebbe un aiuto per se stessa e per il collega, che vi permetterebbe di lavorare meglio. Ha bisogno di tutto l’aiuto possibile Chelinka per affrontare questo viaggio. Alla fine del quale credo potrà trovare un senso per tutta questa sofferenza: magari un senso non facile da accettare ma già avere delle ragioni renderà la sofferenza forse un po’ più sopportabile consentendole di spingersi ancora oltre nello star meglio. Lei ha perso qualcosa Chelinka. Non sappiamo ancora cosa, ma l’assenza di ciò che ha perso è probabilmente ciò che lei percepisce come qualcosa che si è rotto dentro di lei.
Mi faccia sapere come va, se vuole.

Dott. Antonino Puglisi Psicologo a Torino

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