Cambiare terapeuta o concedermi un periodo di pausa?
Buongiorno a tutti voi professionisti. Mi chiamo Mia e ho 22 anni.
Da circa tre anni ho una diagnosi di disturbo bipolare, nessun ricovero ma diversi episodi di ipomania alle spalle, ho assunto farmaci fino allo scorso Agosto circa e frequento una psicoterapia tutt'ora con uno specialista che lavora in "coppia" con la psichiatra.
Procedo a un excursus per spiegare come sono giunta all'attuale situazione.
Lo psicoterapeuta all'inizio è sempre stato molto gentile, la psichiatra anche, a modo suo. Due persone completamente diverse e l'ho realizzato da subito. Quando mi fecero la diagnosi ero confusa, spaventata, in una brutta depressione, ero contraria mentalmente a prendere i farmaci però l'ho fatto diligentemente per anni, su questo non mi si è mai potuto dire niente per loro stessa ammissione.
Arriviamo all'anno scorso, io lamentavo difficoltà nell'atto di assumere i farmaci con la psichiatra e non mi veniva dimostrata l'empatia che speravo. Lo psicoterapeuta, bonariamente, mi ha fatto capire sempre che gli psichiatri sono molto diversi, devono essere così data la loro figura professionale.
Io ho metabolizzato, però non ho instaurato con la psichiatra un rapporto solido. Non ero interessata a lei, sempre meno interessata a farmi bastare la spiegazione del 'I farmaci ti servono'.
Più probabilmente mi sono stufata di fare qualcosa che mi infastidiva e che non sentivo mi stesse facendo del bene. Ero certa di non voler tentare con altri farmaci che mi impedivano il controllo su me stessa e, soprattutto, non mi facevano provare rispetto ed affetto per me stessa. In tutti quegli anni, dentro di me, è maturata una forza enorme e una consapevolezza di aver imparato i miei limiti, di aver accettato la malattia e proprio per questo di potercela fare da sola, sia nella depressione che nei momenti euforici. Tutto questo con prove provate: la stessa psicoterapia mi ha portata a capire che questo disturbo latente ha sempre fatto parte di me e ha sempre condizionato tanti aspetti della mia vita, nell'infanzia come nell'adolescenza. Ho realizzato che i miei momenti fuori controllo si verificarono tutti a seguito di dinamiche familiari e personali particolari che con la consapevolezza di oggi posso facilmente evitare; rovescio della medaglia, ho riconosciuto nel passato momenti difficili in cui non ho ceduto e non ho perso la stabilità. Ho capito di amare davvero come sono realmente, tutti i miei problemi ci sono e sono gravi, eppure non mi tolgono la voglia di vivere nemmeno nei momenti più bui e questo doveva significare qualcosa.
I miei genitori mi hanno supportata, forti del fatto che non mi vedevano affatto bene con quei farmaci, ero succube più che "controllata"; non certo succube degli specialisti sia chiaro, per lo più degli eventi. Mi sono imposta e ho voluto a tutti i costi che mi venisse detto come interrompere i farmaci. E ho anche cercato di spiegare le mie ragioni, con tutto che sapevo già non sarei stata ascoltata dalla psichiatra. Ovviamente, non ha potuto fare altro che accontentarmi, però il suo atteggiamento successivo mi ha ferita. Era già molto distaccata, da che però ho smesso i farmaci ho percepito questo distacco come maggiore. Gli ho dato con il tempo sempre meno importanza, data la delusione più profonda che è rimasta dalla reazione inaspettata del mio psicoterapeuta: come gli dissi che avevo intenzione di smettere i farmaci ma non la psicoterapia, la sua risposta ferrata fu "non posso assolutamente prendermi la responsabilità di una te fuori controllo. Potrei accettare se fossi tuo padre, ti vedrei tutti i giorni e saprei con certezza come stai". Razionalmente ho compreso subito che le sue paure erano per le difficoltà nel proseguimento della terapia se mi fosse capitato un altro episodio simil-maniacale, ma il modo in cui lo disse non fece bene. Ricordo che non riuscii a dirgli niente tant'ero sotto shock. Spaventato quanto si voglia, per me quel passo era importante e non solo non ero stata appoggiata neanche dall'individuo di cui mi fidavo di più tra i due ( chiariamoci, cosa assolutamente legittima ), ma veniva messo categoricamente in discussione il nostro rapporto di fiducia, oltre che la mia forza di volontà, la mia maturità e la mia consapevolezza sul problema.
Eppure, sono rimasta con lui, senza farmaci esattamente come avevo richiesto senza alcuna sua obiezione. Ero cosciente di non essere pronta a cambiare la "faccia" con cui rapportarmi visivamente ogni settimana tanto quanto di aver avviato il mio "countdown" interiore per raggiungere il livello massimo di rifiuto nei loro confronti e levare le tende.
In tutti questi mesi ho avuto tanti problemi e tante lodi dallo stesso psicoterapeuta: "Bravissima", "Mi sorprende che tu sia riuscita a non lasciarti andare al panico", sono solo due delle tante frasi che ho sentito. Magari credeva di farmi contenta, non sapeva di farmi arrabbiare ancora di più. Si è limitato, per mesi, a fare esattamente quello che gli avevo proposto ad Agosto, ovvero seguirmi senza farmaci, richiesta ostacolata a spada tratta.
Io non ho mai cercato lodi, tanto meno di sfidare le sacre leggi della psichiatria per dire che i farmaci siano inutili. Non lo penso e non l'ho mai pensato. Credo fortemente che non facciano per me, questo si. È più che giusto, come già detto, non essere d'accordo, io però sono dell'avviso che si debba anche avere una mente aperta al confronto con realtà specifiche, perché non siamo tutti uguali. Lodarmi senza nemmeno rendersi conto di quanta superficialità, o almeno di quanto poco tatto fossero stati usati all'inizio, per quanto mi riguardava era solo segno di scarsa sincerità nei miei confronti. Posso anche sbagliare, ma è quel che sento e per ora non cambia.
Per concludere il post troppo lungo, alla seduta di qualche settimana fa, a seguito di una brutta crisi di panico avuta giorni prima della stessa in cui non sono riuscita a farmi ricontattare dalla psichiatra neanche in 24 ore per un "cosa ti è successo questa volta??", all'ennesimo salamelecco dello psicoterapeuta sono sbottata, perché ho capito che potevo attendere quanto volevo ma lui non avrebbe capito niente di niente. Ha avuto il coraggio di dirmi che si aspettava me ne sarei andata già da Agosto, che era sorpreso non lo avessi fatto e si era convinto di aver instaurato un particolare tipo di legame. Ha aggiunto anche che si scusava molto dell'accaduto, appellandosi all'articolo "Sono umano anche io e sbaglio come tutti quanti".
Gli ho metaforicamente e fisicamente stretto la mano e ho detto che avrei meditato sul da farsi per conto mio. Ho contattato il mio vecchio psicoterapeuta (mi ha seguita prima di loro, ma all'epoca non avevo alcuna diagnosi) e ho preso un appuntamento per cercare di capire se, premesso tutto ciò, per me sia meglio ricominciare da capo o concedermi un periodo di pausa dalla psicoterapia.
Ovviamente attendo anche il parere di questo specialista, però mi rivolgo anche a voi nella speranza di ricevere pareri esterni utili.
Ringrazio in anticipo e mi scuso per le troppe parole.