Test Psicologici

I test psicologici sono guardati spesso con diffidenza o titubanza. In questo articolo è descritto un percorso in cui i test sono preziosi alleati per rispondere alle domande del pazienti.

22 FEB 2018 · Tempo di lettura: min.
Test Psicologici

I test psicologici al servizio del paziente

Quando al primo colloquio faccio presente ai miei pazienti che sono solita fare dei test psicologici osservo reazioni molto diverse: c'è chi mi guarda con curiosità e inizia a tempestarmi di domande prima ancora che io possa iniziare a spiegare in cosa consiste il percorso; c'è chi mi chiede se sia proprio necessario; c'è chi rimane sorpreso, c'è chi si spaventa.

Una cosa è certa: penso che nella mia professione clinica, non vedrò mai persone reagire con indifferenza alla parola test.

Ma cosa sono i test psicologici e come possono essere utilizzati?

Innanzi tutto una cosa voglio proprio dirla: la televisione e le applicazioni Facebook che girano online sui test non contribuiscono a fare buona informazione ma distorcono pericolosamente la realtà sul cosa sia un test e come sia fatto.

I test psicologici sono strumenti di lavoro che si basano su fondamenta scientifiche e, prima di poter essere definiti test, devono superare una serie di lunghissime procedure statistiche di validazione.

Una volta che i numeri sono a posto ci si può iniziare a lavorare.

Il modo di utilizzare i test è cambiato moltissimo negli ultimi cinquant'anni,

Prima, i test avevano l'obiettivo di informare il professionista sulla presenza di sintomatologie, disturbi o sindromi. Adesso questo scopo non si è del tutto perduto ovviamene ma c'è molto di più.

Grazie agli studi di Sephen Finn e Mary Tonsager che hanno applicato i principi della psicologia umanistica alla valutazione psicodiagnostica, i test sono diventati strumenti che hanno l'obiettivo di rispondere anche alle domande che il cliente ci porta. Finn li definisce "amplificatori di empatia".

Domande e risposte

Quando un paziente chiede l'aiuto di un professionista è perchè sta vivendo una situazione di disagio che, per qualche motivo, sta ostacolando la sua vita.

Alla base di questo disagio c'è spesso una domanda implicita, legata all'obiettivo terapeutico, che viene esplicitata tra il secondo e il terzo colloquio. Ad esempio: Come mai sono sempre così in ansia? Perchè reagisco così in una certa situazione? Come mai mi vengono gli attacchi di panico? Come mai non riesco a farmi rispettare?Come mai non riesco a lasciare mio marito anche se non ci sto più bene? Come mai non controllo la collera e poi me ne pento? Come mai i colleghi a lavoro mi escludono sempre?

Questi sono solo alcuni esempi di domande che i miei pazienti mi hanno portato.

Per rispondere a queste domande i professionisti si avvalgono di diversi strumenti tra cui i test psicologici.

Il percorso di assessment collaborativo

Il percorso prende il nome di assessment collaborativo proprio perchè nasce con l'obiettivo di rispondere a domande portate dal paziente attraverso la collaborazione tra paziente e terapeuta e attraverso l'uso dei test.

Un test fornisce un profilo, indici e numeri ma quei numeri hanno un significato per la persona.

Facciamo un esempio. Due persone ottengono punteggi di ansia particolarmente elevati. Ma queste due persone sono uguali? Chiaramente no. Nell'assessment collaborativo il professionista facilita, attraverso le domande, il contenuto di quell'ansia. Una persona può essere ansiosa perchè teme di perdere il controllo e perdere il controllo significa fallire; può essere ansiosa perchè teme di commettere errori per cui poi teme di essere derisa, può essere ansiosa perchè sente talmente forte la colpa per qualcosa che è accaduto in passato e che teme potrebbe accadere ancora ecc.

Chiaramente il significato soggettivo dell'ansia cambia e farà luce per rispondere alla domanda che la persona porta.

Se, ad esempio, una persona chiedesse come mai i colleghi la escludono e, una volta appurato che non ci sono problemi di matrice aziendale, emergesse una forte paura di fallire o commettere errori si può riflettere su quali possono essere le strategie sociali per gestire questa paura e i relativi comportamenti. Si potrà scoprire, ad esempio, che la persona tenderà a parlare il meno possibile facendosi da parte per prima oppure che cerca di apparire simpatica e allegra in un modo che però agli occhi degli altri non viene percepito come autentico.

L'assessment collaborativo ha una durata di cinque incontri.

1° incontro: colloquio conoscitivo in cui il paziente espone la difficoltà che sta vivendo. In questo incontro, paziente e professionista si conoscono e valutano come si sentono reciprocamente nella relazione.

2° incontro: definizione della domanda. In questa fase viene chiarita la domanda implicita legata al problema che la persona porta. Se, ad esempio, la persona chiede una consulenza perchè soffre di attacchi di panico, una domanda implicita può essere: perchè mi accade questo? Se invece una persona chiede perchè non riesce a chiudere una relazione in cui non sta bene, una domanda implicita può essere: cosa mi tiene lì?

3° incontro: raccolta dell'anamnesi. Scopo del colloquio è quello di ricostruire i principali eventi della vita della persona. Se la situazione lo richiede, viene fatta la "mappa dei traumi" per individuare eventuali eventi traumatici connessi alla via della persona.

4° incontro: test psicologici. Presentazione degli strumenti e delle loro finalità al paziente. Di solito l'incontro dura dai 60 ai 90 minuti a seconda dei test scelti.

5° incontro: restituzione. Scopo del colloquio in questa fase è dare delle rispose alla domanda definita insieme al paziente.

Al termine di questo colloquio possono aprirsi più possibilità:

in alcuni casi, le persone posso avere la risposta che stavano cercando e concludere il percorso.

Ad esempio, in fase di restituzione, una persona può prendere consapevolezza del sentirsi ancora profondamente addolorata e spaventata per qualcosa successo anni prima e a cui credeva di non pensare più. E' possibile che portando alla luce questa paura, la tensione si riduca e il benessere aumenti.

Oppure, può emergere che i tentativi di avvicinamento degli altri vengono vissuti come minacce e dunque c'è la tendenza ad allontanarsi automaticamente nel tentativo di proteggersi; solo che gli altri leggono questo comportamento come disinteresse e dunque, a loro volta, si allontanano. Questi sono solo alcuni esempi.

In altri casi, sulla base di quanto emerso, è possibile definire un piano terapeutico mirato alla gestione di un problema. Ad esempio, nel caso degli attacchi di panico, può emergere che l'emozione che la persona si nega è la tristezza e così il lavoro terapeutico sarà mirato alla gestione e metabolizzazione della tristezza "non digerita". Possono emergere problematiche connesse a traumi su cui si può lavorare con EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) o altro ancora.

I test, dunque, nei percorsi di assessment clinico diventano degli strumenti volti a facilitare il paziente nella presa di consapevolezza di propri funzionamenti.

In alcuni casi questa consapevolezza può già di per sé essere fonte di maggior benessere perchè consente alla persona di iniziare a definire e riflettere sulle strategie di gestione del problema, in altri casi favorisce la pianificazione di percorsi mirati e "cuciti" sulle caratteristiche soggettive.

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Fossati

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