"Se nonostante il mio impegno a renderti felice non mi hai scelto/a, non sono stato/a importante": come rompere questo schema?

In molte relazioni di coppia che generano sofferenza si nasconde una dinamica precisa: mi impegno al massimo per renderti felice così mi sceglierei. Questa dinamica però è distruttiva.

4 GEN 2022 · Tempo di lettura: min.
"Se nonostante il mio impegno a renderti felice non mi hai scelto/a, non sono stato/a importante": come rompere questo schema?

Da diversi anni lavoro con persone che si distinguono per senso del dovere ed efficacia (sul lavoro ma non solo) e che si trovano incastrate in relazioni disfunzionali e dolorose in cui spesso ci si sente soli, incompresi e trattati ingiustamente ma che però si continua a portare avanti.

Premessa: lavoro prevalentemente con donne, per questo gli esempi riportati sono riferiti prevalentemente a donne. Tuttavia, la dinamica di cui parlo non è tipica solo delle donne ma è molto democratica.

Sono molte le trappole che possono portare una persona a investire su relazioni di questo tipo. In questo articolo però vorrei trattarne una nello specifico: quella di fare di tutto per rendere felice l'altro nella speranza che si renda conto di quanto con noi sta bene e quindi scelga di costruire un futuro con noi.

Vista così non c'è nulla di strano: impegnarsi per fare felice la persona che si ama alla fine è anche una cosa normale e per certi versi positiva. I guai iniziano quando la persona che cerchiamo di rendere felice ha mostrato in più occasioni comportamenti da "tira e molla" anche detti "ci sono e non ci sono".

Quali sono questi comportamenti?

Le famose frasi tipo: "sto bene con te ma non so quello che voglio"; "ti meriti qualcuno che ti renda felice ed io, in questo momento, sono troppo confuso/a" accompagnate però da comportamenti diametralmente opposti come il ricercare dopo aver chiuso (tramite messaggi o tramite social magari con una scusa) o pronunciare frasi tipo: "se dovessi pensare di fare una famiglia la farei con te", dopo aver detto di essere confusi e non voler progettare nulla.

Altri comportamenti "ci sono e non ci sono" possono essere ricondotti a momenti di manifestazioni di profondo amore e gratitudine a momenti di critica o alibi per non progettare il futuro insieme dando spesso la responsabilità a qualcun altro fino a data da destinarsi ("non è che non voglio fare progetti con te, ma al momento non vorrei dare dispiacere a mio figlio"; "ho paura che se vengo a vivere con te la mia ex moglie/il mio ex marito mi faccia la guerra; prima o poi questa situazione cambierà, ma adesso non posso"). Così il tempo passa, si rimane nell'attesa e la situazione rimane sempre la stessa.

Si inizia a rendersi conto che c'è qualcosa che non va quando ci si rende conto di sentirsi molto frustrati/e in questa relazione; si inizia a provare rabbia verso l'altra persona ma non si riesce a staccarsi.

È qui che molte persone mi dicono di sentirsi spaventate all'idea del fallimento della relazione. Ci si è impegnati/e tanto; siamo stati/e di aiuto su più fronti (dalle questioni pratiche alla vicinanza emotiva, a volte anche controvoglia ma con l'intenzione di far felice l'altro) vedendo in lui/lei la gioia derivante dai nostri sforzi.

Come è possibile che nonostante lo/a abbia fatto stare così bene, nonostante sia l'unico elemento di stabilità della sua vita lui/lei non faccia progetti con me?

Così per non rispondere a questa domanda ci si ostina ad investire e a sperare che qualcosa prima o poi cambi a dimostrazione del fatto che no, non ci eravamo sbagliati/e; valeva davvero la pena investire su quella relazione.

Ma qui c'è una distorsione importante: si pensa che il cambiamento dell'altro dipenda quasi completamente da noi. Anche chi a parole mi dice di sapere benissimo che il cambiamento dell'altro dipende dall'altro, quando poi si va ad approfondire meglio, emerge che la credenza inconscia è che "se io lo rendo abbastanza felice allora lui/lei si renderà conto quanto di sta bene con me e allora cambierà".

Quando regoliamo il nostro comportamento in funzione di questa credenza siamo già su una strada pericolosa che quasi certamente ci farà stare male. Infatti, la logica del "se lo rendo felice abbastanza lui cambia" implica il sentirsi completamente responsabili del benessere/malessere dell'altro e quindi anche del suo cambiamento. Tuttavia, questo non è possibile se non nelle situazioni di dipendenza o sudditanza psicologica (quindi comunque situazioni malsane), in cui i comportamenti di una persona dipendono esclusivamente da qualcun altro o da qualcun'altra.

Questo vuol dire anche un'altra cosa: riconoscere o meno il nostro valore in funzione del cambiamento dell'altro. Detto diversamente: se tu cambi grazie a me allora valgo, se non cambi grazie a me allora evidentemente non sono stato/a abbastanza importante per spingerti a cambiare. La ferita diventa ancora più profonda quando l'altra persona si accompagna a un'altra donna o un altro uomo. Se la chiave di lettura è quella del: "se cambi per me sono importante, se non cambi per me non sono importante" allora è quasi automatico che l'inizio di una nuova relazione venga letta come: "lui/lei è migliore di me" oppure: "se ha preferito uno/a come quello/a a me allora valgo proprio poco".

Tutta una lettura completamente distorta che deriva dal vedere se stessi come responsabili del cambiamento dell'altro senza considerare alcuni aspetti importantissimi: le persone hanno le loro storie, le loro esperienza (talvolta traumatiche), un'educazione data dalla famiglia etc. Questi aspetti diventano lenti attraverso cui la persona guarda sé, gli altri e le proprie relazioni. Da qui nascono valori, visioni del mondo, resistenze al cambiamento, bisogni etc. Il benessere che può far provare una relazione con una persona da solo non basta per spingere a un cambiamento, necessariamente devono esserci altre spinte che hanno a che fare con sé e non con le caratteristiche dell'altra persona. Detto diversamente: non si cambia grazie a qualcuno; ci possono essere relazioni che facilitano il cambiamento se lo si desidera, se si vogliono mettere profondamente in discussione parti di sé ma non si cambia solo con l'obiettivo di non perdere qualcuno.

Come se ne esce?

Costruire relazioni equilibrate implica un profondo lavoro su di sé per arrivare a un cambio di prospettiva.

  1. Prima di tutto occorre mettere a fuoco in che modo la persona contribuisce a creare relazioni squilibrate. Prendere consapevolezza di quali sono le azioni che senza rendersi conto si agisce alimentando i problemi relazionali permette di definire con chiarezza cosa concretamente smettere di fare creando già un equilibrio positivo. Molti/e miei/e clienti prendendo consapevolezza di questi comportamenti hanno smesso di metterli in atto alcuni iniziando già a cambiare la situazione.
  2. Occorre poi darsi fiducia: la maggior parte delle persone con relazioni insoddisfacenti, per paura delle reazioni degli altri evita conflitti, dice di sì anche quando vorrebbe dire no o si adatta alle richieste dell'altro. Questo dà l'illusione di tenere salda la relazione mentre in realtà la peggiora. Quando ci si dà fiducia, invece, si riesce a dare valore sia ai bisogni propri che a quelli dell'altro. Questo garantisce la creazione di relazioni solide e soddisfacenti.
  3. La terza cosa di cui ha bisogno una persona per crearsi relazioni serene ed equilibrate è imparare a uscire dai limiti imposti dalle proprie convinzioni limitanti su di sé (ad esempio: "io non sono abbastanza"; "io non sono all'altezza") imparando ad accedere alle risorse personali che non riesce a vedere. Questo passaggio è potente perché permette di accedere a una grande quantità di energia positiva permettendoti di sentirti sicuro/a. Quando un/a mio/a cliente prende consapevolezza delle proprie risorse personali (che ci sono ma non vengono viste o non vengono valorizzate), inizia ad affermare la propria posizione con più sicurezza, prende le distanze da relazioni che non le fanno bene e ne crea altre che sente nutrienti e positive.

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Scritto da

Dott.ssa Luisa Fossati

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Bibliografia

  • U. Telfener (2007). Le forme dell'addio. Castelvecchi editore.
  • Borgioni, M (2015). Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all'indifferenza vuota. Alpes editore

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Commenti 2
  • Enrica ricci

    Interessante, ahimè mi ci ritrovo e non so come uscirne. Sono combattuta è consapevole dei miei errori (quelli da lei elencati) molto triste nel pensare di perderlo anche se lucidamente comprendo che sarebbe la mia salvezza. Nonostante ciò appena capisco che forse lo perderò, cerco di riagganciarlo Aiuto

  • Francesco Panzardi

    Come si fa a cambiare questa dinamica oltre che questo schema?

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