La "rêverie": risorsa preziosa per l’analisi

La "rêverie" è un processo in cui si creano metafore che conferiscono forma all’esperienza che l’analista fa delle dimensioni inconsce della relazione analitica. T.H.Ogden,2001

22 FEB 2021 · Tempo di lettura: min.
La "rêverie": risorsa preziosa per l’analisi

Premessa

La capacità di pensare, secondo W. Bion (1962), evolve nella prima relazione tra madre e bambino e dipende dall'introiezione di una madre capace di comprendere – mediante la sua "rêverie" – l'esperienza del bambino e di dargli significato. Il classico esempio è il bambino che proietta la paura di morire sulla madre e la re-introietta in una forma resa tollerabile da quest'ultima. In altre parole per Bion, la madre accoglie nella sua mente lo stato mentale del bambino senza venirne sopraffatta e contemporaneamente attribuisce forma e significato alla sofferenza del bambino rendendogliela tollerabile. La dipendenza del bambino da questo contenimento materno, fisico e mentale, verrà via via sostituita dal contenimento dato dal percepire una propria mente che si svilupperà nel bambino non tanto attraverso un processo di maturazione fisica, ma attraverso le ripetute esperienze di essere tenuto nella mente della madre

La "rêverie" e lo stato mentale dell'analista in terapia

Il concetto di "rêverie" così inteso, ovvero quel particolare stato mentale della madre con il suo bambino, secondo Bion, è fondamentale in tutte le relazioni umane e può essere impiegato anche per definire lo stato mentale dell'analista in terapia. Disponendosi all'ascolto con la mente "senza memoria e senza desiderio" (che corrisponde all'attenzione fluttuante di Freud) l'analista si rende ricettivo verso le emozioni trasmesse dal paziente, in attesa che il lavoro della propria funzione alfa, generi in lui rappresentazioni spontanee da cui potranno scaturire forme adeguate di comprensione e interpretazione. L'analista, per poter ascoltare, deve accedere ad uno stato di rêverie, dimostrando una disponibilità ad accogliere dentro di sé le parti scisse e proiettate da parte del paziente per permettere che queste parti, prima o poi, si traducano in un senso. La capacità di rêverie è dunque una risorsa preziosa per l'analisi, il cui obiettivo è quello di accrescere progressivamente gli strumenti per individuare, dare un nome, gestire emozioni, estendere "la capacità di pensare" esperienze non digeribili. Il terapeuta, attraverso la rêverie, da modo al paziente di riprendersi gli aspetti di sé intollerabili, ora trasformati in cibi digeribili dalla mente.

In "conversazioni al confine del sogno" 2001, T.H.Ogden illustra come la rêverie è un processo in cui si creano metafore che conferiscono forma all'esperienza che l'analista fa delle dimensioni inconsce della relazione analitica. L'esperienza inconscia può essere vista (oggetto di riflessione)quando la si rappresenta metaforicamente a se stessi.

La rêverie è una forma principe di rappresentazione dell'esperienza inconscia (in gran parte intersoggettiva) di analista e analizzando. L'uso analitico della rêverie è il processo con cui l'esperienza inconscia è resa in metafore che rapprendano a noi stessi gli aspetti inconsci di noi stessi.

L'uso che viene fatto della rêverie, potremmo dire che è un modo per parlare a noi stessi dell'esperienza inconscia, in un modo che possiamo "ascoltare", "toccare" e usare per creare una serie di legami con altri pensieri e sentimenti. L'esperienza di rêverie quindi, viene usata come un canale per guadagnare accesso e conferire significato metaforico all'esperienza precedentemente innominata (inconscia) del (nel) terzo analitico intersoggettivo, ovvero un terzo soggetto dell'analisi, che è contemporaneamente, ma asimmetricamente, creato dall'analista e dal paziente.

Va precisato che come il sogno, l'esperienza di rêverie, non è un "pezzo" d'inconscio o un aspetto dell'esperienza inconscia che è giunto alla nostra "visione", ossia alla coscienza. Ciò non potrà mai avvenire, poiché l'esperienza inconscia è per definizione un esperienza che rimane fuori dalla consapevolezza.

Un compito fondamentale che si pone all'analista è il riconoscimento e l'uso di stati prevalentemente inconsci del sentire, intersoggettivamente generati all'interno della relazione analitica.

Nel concetto di rêverie sono compresi i pensieri, i sentimenti, le fantasie, le congetture, i sogni ad occhi aperti e le sensazioni corporee più profonde, quotidiane e banali che di solito sembrano completamente scollegate da ciò che il paziente dice e fa in un particolare momento (T.H.Ogden, 1997).

Viene così valorizzata quale preziosa risorsa per la cura analitica l'attività di pensiero onirico della veglia, che è in continuo svolgimento come metabolismo basale dell'esperienza emotiva e che l'analista si dispone a utilizzare nel setting a beneficio del paziente.

Bion evidenzia come il compito dell'analista sia quello di andare oltre a"ciò che sa" in modo da essere una cosa sola "con ciò che è", la "O" dell'esperienza analitica in un dato momento. Nella sua concezione dello stato analitico della mente(rêverie), l'analista si rende il più aperto possibile a fare esperienza di ciò che è vero e cerca di trovare le parole per comunicare una parte di quella verità al paziente. Il compito dell'analista, spiega Bion(1962), è di dire qualcosa di "relativamente vero" riguardo all'esperienza emotiva che avviene in un momento dato dell'analisi che il paziente sarebbe in grado di usare coscientemente e incoscientemente allo scopo di crescere da un punto di vista psicologico.

Nella mente dell'analista in stato di rêverie affioreranno, ad esempio, immagini visive ma anche rappresentazioni acustiche o di altri registri sensoriali, più o meno organizzate: da semplici flash istantanei a sequenze narrative di varia durata (A.Ferro, 2010). L'adeguatezza di tali contenuti psichici emergenti a trasformare in pensieri le emozioni vissute dall'analizzando non è, comunque, garantita in partenza e va verificata attraverso un'elaborazione che impegna varie componenti dello spettro mentale dell'analista, dalla polarità ricettiva-sognante a quella investigativa-razionale (Riv., 1983).

Non tutti i fenomeni descrivibili come rêverie sono prodotti della funzione di rêverie intesa nel senso "bioniano" del termine. A differenza di quanto accade per i sogni notturni, scanditi dal confine sonno/veglia, non esiste alcun criterio immediato per distinguere le manifestazioni della rêverie da altri contenuti mentali dell'analista, non necessariamente derivati dal contatto emotivo con l'analizzando. Il valore di tali rappresentazioni si chiarirà soltanto attraverso gli ulteriori scambi comunicativi nella coppia analitica (T.H.Ogden, 1997).

L'effettivo funzionamento clinico della rêverie si basa dunque su una cooperazione intersoggettiva, conscia e inconscia, tra analista e analizzando.

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Scritto da

Dott.ssa Paola Zampiglia

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Bibliografia

  • Bion W.R. (1962). Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Roma, Armando, 1970.
  • Bion W.R. (1962). Apprendere dall'esperienza. Roma, Armando, 1972.
  • Ferro A. (2010). Tormenti di anime. Passioni, sintomi e sogni. Milano, Cortina.
  • Ogden T.H (2001). Conversazioni al confine del sogno, Roma, Armando, 2003.
  • Ogden T.H (2005). L'arte della psicanalisi. Sognare sogni non sognati. Milano, Raffaello Cortina Editore,2008.
  • Ogden T.H. (1997). Rêverie e interpretazione. Roma, Astrolabio, 1999.
  • Riv.Psicoanalitica,(1983). Sogno e teoria della conoscenza in psicoanalisi. 29, 279-295.

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