Il più grande esperimento di smartworking: la spinta della necessità

Il più grande esperimento di smartworking si sta realizzanzdo grazie alla spinta della realtà e della necessità.

1 APR 2020 · Tempo di lettura: min.
Il più grande esperimento di smartworking: la spinta della necessità

Con l'emergenza sanitaria, è in atto il più grande esperimento di smartworking, che ci ha incuriositi non poco. Abbiamo deciso di parlarne con la dottoressa Valdrè. 

  • Lavoro da casa: quali conseguenze a livello psicologico?

Dobbiamo premettere che siamo di fronte ad un fatto assolutamente nuovo, e a cui abbiamo dovuto adattarci in pochissimo tempo, da un giorno all’altro; tutte le valutazioni sono quindi per ora ipotetiche. Il cosiddetto smartworking non era così diffuso, era riservato ad una nicchia di professioni o a coloro che lavorano in Paesi distanti dal proprio; la maggior parte dei professionisti, insegnanti e lavoratori, non lo conosceva.

Come tutti i cambiamenti, questo ha richiesto (e lo vedremo soprattutto in futuro) un elevato livello di stress. Le conseguenze psichiche possono essere diverse, a seconda del tipo di professione, della personalità, della consuetudine a usare internet, dell’età; sono chiaramente sfavoriti i meno giovani, che possono sperimentare lo smarrimento di un’inalfabetizzazione di ritorno, che li lascia soli e più in difficoltà degli altri. La prima conseguenza è, ovviamente, la solitudine.

Si lavora dalla propria stanza, dal proprio salotto, soli. La risposta alla solitudine è altamente individuale: ci sono persone abituate a stare sole, in buon contatto con se stesse, che tollerano molto meglio questo lungo periodo così inusuale. Per altri, più bisognosi dell’azione, del movimento, diciamo più claustrofobici e bisognosi di "scaricare" l’aggressività nel movimento, o non abituati al prolungato contatto con se stessi, la solitudine può essere difficile. Altra conseguenza è, se non si vive soli, all’opposto un prolungato contatto con i familiari, che può mettere a rischio gli equilibri più fragili, i contesti violenti, le famiglie disfunzionali. Tanto più si è capaci, o meglio si era già capaci, di resilienza e adattamento, tanto meno duro sarà l’impatto psicologico dello smartworking.

  • Come organizzarsi in modo che il lavoro da casa non invada i nostri spazi personali, o almeno non troppo?

Credo non ci siano formule generalizzabili, ciascuno deve trovare il proprio personale contesto, l’abito su misura che veste meglio in questa situazione. È importante, nel lavoro, ricrearsi uno spazio proprio, confortevole, che sia sempre quello (ciò che noi psicoanalisti chiamiamo “setting”), perché la ripetitività e l’abitudine danno sicurezza. Ma tutto questo può non essere facile in appartamenti piccoli, o famiglie numerose alla presenza di bambini che non vanno a scuola, o di anziani per la cui salute si teme. Per questi lavoratori, lo smartworking richiede senz’altro una fatica in più. In ogni caso, è bene ritagliarsi un proprio spazio, anche piccolo, una scrivania e un computer se non si ha di meglio, ma che sia proprio, personale, magari circoscrivendolo in tempi precisi nei quali si chiede agli altri di non invadere.

  • C'era bisogno del Coronavirus per implementare lo smartworking?

Ebbene sì. C’è spesso bisogno della forza della realtà, nelle cose umane, perchè avvengano, non bastano le belle intenzioni. La spinta della realtà, della necessità, ha reso possibile in poche settimane quello che normalmente avrebbe richiesto qualche anno.

  • Come mai in Italia ci sono state tante resistenze allo smartworking finora?

Allo stato attuale, non si riscontrano più tante resistenze. L’Italia non è un Paese dalle grandi distanze che ha dovuto per necessità implementare lo smartworking, è necessario piuttosto fare una serie di considerazionie.

Abbiamo un altissimo tasso di anziani che non si approcciano al computer e non lo sanno usare; e forse una generale arretratezza, soprattutto in certe aree del Paese, rispetto al mondo online. Lo smartworking inevitabilmente rivela una differenza socio-culturale: sarà più facile e frequente tra lavoratori a medio-alta scolarità, che tra lavoratori a bassa scolarità, e ci sono persino case e zone dove non arriva neanche internet, con grave danno per i bambini e gli studenti che non possono seguire le lezioni via web in questo momento. Ma in generale, non credo che l’Italia sia oggi, soprattutto al Nord, più arretrata di altri nazioni.

  • Come sta cambiando il mondo del lavoro con l’emergenza?

Purtroppo stiamo andando incontro ad una recessione molto grave. Il mondo del lavoro si è fermato, a parte alcuni settori, e si è contratto. Vi è il rischio che alcune attività non riaprano, che le professioni siano molto colpite e poco protette. Temo si assisterà a un generale impoverimento, che ci riguarderà tutti a cascata.

Sicuramente, per restare al nostro tema, si assiste ad un enorme implemento dello smartworking, laddove possibile (insegnamento, uffici, professioni), e questo è e sarà il principale cambiamento. Nell’emergenza, alcune produzioni aumentano (esempio gli alimentari), molte altre si bloccano, perché la vita si restringe intorno ai bisogni essenziali. Non menziono, poiché tutti lo sappiano, l’enorme sforzo degli operatori sanitari, le cui conseguenze psicologiche temo si vedranno a crisi finita. In generale, se si può dirlo con una parola, il mondo del lavoro nell’emergenza si frantuma in pochi essenziali servizi che si implementano, molti che si bloccano, e una parte intermedia che scopre lo smartworking, e con esso le conseguenze psichiche che abbiamo visto sopra.

  • L'emergenza sanitaria ha portato, inevitabilmente, anche psicologi e psicoterapeuti a doversi adattare nello svolgimento della loro professione, magari attraverso le sedute online. Quali sono i pro e i contro di questo cambiamento così repentino?

Ecco, intanto ha detto bene: repentino. La stragrande maggioranza di noi si è dovuta adattare da un giorno all’altro ad una modalità che in pochi usavamo, o si usa solo per pazienti lontani impossibilitati a venire in seduta, mentre oggi è diventata la quotidianità del nostro lavoro. Esiste già una certa letteratura, parlo per la psicoanalisi, sulla terapia online ma, ripeto, quello che osserviamo oggi è il dato nuovo di un’estensione a tutti noi. Il principale pro è sotto gli occhi di tutti: si è reso possibile qualcosa che altrimenti sarebbe stato impossibile, avrebbe richiesto l’interruzione (e alcuni pazienti hanno in effetti sospeso le sedute); cioè il pro è che si è mantenuta la continuità terapeutica, i pazienti non sono stati abbandonati.
I contro dipendono anche dall’opinione di chi scrive. Alcuni analisti sono più favorevoli, altri meno. Io mi collocherei in una posizione intermedia, lo ritengo uno strumento utile nelle emergenze, nelle lontananze, ma è più faticoso e non replica il setting di persona.

In che senso? Davanti ad uno schermo o un cellulare, alcuni pazienti si sentono più ansiosi, più soli, soffrono del non avere il controllo, e questo può rendere la seduta, come dico io, “eccessivamente parlata”, ossia per fronteggiare l’ansia la seduta si riempie di parole, e vengono meno alcuni silenzi ugualmente preziosi in analisi. Il setting è mantenuto, o si cerca di mantenerlo, vedendosi sempre gli stesso giorni, alla stessa ora, alla stessa modalità (e questo è fondamentale), ma alcune sue caratteristiche specifiche sono messe a dura prova, come il contenimento, che perde il ritmo della voce, delle intonazioni del terapeuta, il linguaggio non corporeo, e molte altre sfumature. Pazienti molto gravi, infatti, come gli psicotici, possono non reggere l’assenza della persona fisica del terapeuta. Per altri pazienti, tendenzialmente claustrofilici, che amano stare nel chiuso, al riparo, è invece molto meglio tollerabile o persino preferita, perché vengono meno a contatto con emozioni che li spaventano.

  • Terapia online: qual è la sua personale opinione a riguardo? La sta proponendo ai suoi pazienti? Se sì, come sta vivendo questo nuovo modo di realizzare le sedute?

Sì, l’ho proposta a tutti i miei pazienti e, tranne una che ha preferito sospendere e speriamo ritorni, hanno accettato. In passato ne avevo poca pratica, solo qualche breve esperienza con persone di altre regioni, ma conoscevo la letteratura al riguardo. Come molti colleghi, condivido l’opinione che l’analisi o la psicoterapia online sia più faticosa, per noi, per me e forse, come dicevo, per alcuni tipi di paziente.

È più faticosa per l’eccesso di ingombro della realtà, una dimensione che in analisi è lasciata più a latere del mondo interno: in analisi infatti, si parla soprattutto della realtà interiore, e ora è piu difficile. Se la terapia è avanzata, in genere il paziente si adatta meglio. Ho notato forti differenze nei pazienti, a seconda della loro personalità, come dicevo i "claustrofilici" reagiscono meglio degli ansiosi, tende a riprodursi lo stesso transfert e atmosfera della terapia normale, ma con qualche variante inconscia che per ora è difficile esaminare, lo capiremo col tempo. Il trauma che stiamo vivendo può anche portare alla luce memorie traumatiche, ad esempio infantili, così come cambia il contenuto dei sogni.

Francamente, mi sono adattata e anche mi appoggio ad una sorta di curiosità scientifica per sentirmi aiutata, ma la sto vivendo con una certa, non eccessiva, difficoltà. Come psicoanalista, posso però dire che il genio di Freud ci ha dotati di un metodo, il dispositivo analitico, così efficace da riuscire a trasportarsi a situazioni estreme come queste.

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Scritto da

Dr.ssa Rossella Valdrè

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